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Rossano Turzo - Versi divini - Agnone

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VERSI DIVINI VINI DIVERSI
KOMBY IRISH PUB - AGNONE - 2 DICEMBRE 2017

Carovilli

C’era Bacco nella piazza
ad osservarmi
ed io
desolato come un sarchiapone
mi mordevo un piede
per il mal d’amore.

Mancava un mese alla Tresca
e tu mi stracciavi
la cistifellea e l’anima;
i tuoi occhi erano lampi di bidone
quando il sole riflette
- chissà se il sole pensa! -

Nella piazza in discesa
che mi ricordava il Palio
mi ubriacai
come una gallina di Temennotte.

Qualcuno rideva,
un altro passò.
«Che ci ridi? – disse –
non vedi che questo è un uomo che soffre?»
E mi tirò una sfrascellata sui denti
con un bastone di sambuco.
_____________________________

Chiauci


Nel bosco di Sant’Onofrio
mi fermavo a meditare
sul perché un faggio vive
sul perché un pioppo muore
e mi incuriosivo al respiro
del tartufo
che veniva dalle foglie marce
del sottobosco.

A Chiauci.
quando vedono passare una bella guagliola
dicono: «Ma che bella diga!»
perché sono trent’anni
che ci hanno la pentola
e gli manca l’acqua.

A Chiauci
al locale di Cherubina
acciaccavo due patate dell’orto
che come le fa lei non le fa nessuno.
Diluivo il sale con una bella Peroni
e mi godevo il panorama
quando passasti tu
bella come una vacca da portare al mercato,
lucente come un bidone di asfalto appena aperto.
Al vederti, mi emozionai e feci cadere la Peroni,
Cherubina mi guardò incazzata e mi tirò un manrovescio.

Così, sfrociato per terra,
ti guardavo dal basso in alto
e le tue gambe erano come due pilastri
del ponte che porta a Civitanova.

Non so cosa accadde dentro di me
ma da quel giorno io capii
che l’amore ti fa volare come un fagiano
e che la birra ti schiatta il fegato.

_____________________________

Pescolanciano

Ho sentito parlare di te
da una vecchia di Pescolanciano
che faceva la calza
sotto al castello
e sputava ogni tre minuti.
Diceva che tu frizzicavi,
che sotto sotto
cocevi come il sole lione.

Io mi guardavo le femmine nude
sui giornali,
nel casello abbandonato,
e pensavo a te,
al tuo culo tondo
come la coccia di Monte Totila.

Mi piaceva quando guardavi
verso il sole
e ti cecavi e facevi le smorfie.
Ti seguivo e ti spiavo
quando andavi al fiume
dopo il passaggio a livello.
Mi piaceva guardarti da dietro le frasche.

Tu ti spogliavi e ti tuffavi
nell’acqua piena di girini.
Nuotavi come un delfino,
come una sirena
dell’ambulanza.
_____________________________

La poesia è importante.


Quando ero guaglione non leggeva nessuno. E non potevi leggere che non c’erano nemmeno le insegne davanti ai negozi. Il macellaio si chiamava Carnazziere e il calzolaio Scarparo. Scarparo era anche uno che non faceva bene il suo mestiere. Perciò potevi incontrare anche un medico scarparo: c’era più democrazia. L’unica cosa è che sui muri c’era scritto DUX che per i guaglioni di oggi sarebbe DUPER, cioè non significherebbe niente. A noi quella X, invece, ci impressionava.

Io mi sforzavo di imparare e a a leggere e a scrivere perché mio padre analfabeta diceva che soltanto così potevo arricchirmi. Io mi sforzavo assai ma non avevo i libri. Mio padre me li faceva lui. Incollava, sui pezzi di compensato fogli di giornale che trovava per strada. E così i miei libri non avevano né capo e né coda. Cominciavano parlando della probabile visita del Re in Molise e finivano dopo una ventina di pagine con un articolo sulla diga di Chiauci. Sì, già dal 1939, quando io ero guaglione, si parlava della diga di Chiauci. Si diceva che dovevano mettere un tappo in culo a Monte Totila così che tutta Civitanova si doveva allagare. E da quel lago tutti avrebbero potuto mangiare pesci di acqua dolce. Poi non se ne fece più niente perché all’epoca dove andavi a trovare lo zucchero per tutta quell’acqua?

Dentro un Vangelo che avevo fregato al prete avevo letto del miracolo dei pani e dei pesci. Io mi sentivo in grado di ripeterlo e avevo tanta energia dentro di me che – ne sono ancora convinto – ci sarei riuscito. Ma chi te lo dava il pane da moltiplicare? E, soprattutto, chi te lo dava il pesce?

L’unico pesce che ho visto durante tutta la mia adolescenza – e qui non voglio essere volgare – fu la sardina di Pepp’ Ritt’ che una volta gli abbassarono i calzoni per farlo vergognare. Mia sorella si impressionò e non si è più sposata. Il prete si incazzò come un turrone di Benevento e predicò che certe cose portavano all’Inferno. In quel periodo stavo con la mia famiglia a Capracotta e quando in chiesa il prete parlava dell’Inferno la gente faceva Aaahhh! perché pensavano al fuoco. Che a Capracotta si ghiacciava la coccia pure a mezzogiorno quando faceva freddo e quasi quasi l’inferno era meglio.

Insomma, leggevo tutto quello che potevo leggere ma si trovava poco perché nessuno sapeva scrivere. Quando i vecchi prendevano la pensione alla posta io mi mettevo in fila per vedere se qualcuno firmava con nome e cognome. Ma era difficile perché tutti mettevano la croce. Ecco perché, forse, mi faceva impressione la X di DUX, perché mi ricordava tutte quelle croci, tutta quell’ignoranza dell’adolescenza. Ecco perché, pure adesso, mi dà fastidio quando qualcuno dice FAX o acciaio INOX. Quando sento FAX è come se chi lo dice non fosse capace di scrivere una lettera e mandarla con posta normale. Quando sento INOX è come se quello che lo dice tenesse ‘na coccia d’acciaio che non s’impara manco se cala Gesù. E rimane ignorante e si firma con X. Insomma, l’ignoranza mi ha sempre fatto paura. Ecco perché ho scritto tanti libri. L’ho fatto per il ricordo della carenza di pagine da leggere di quando ero bambino.


Quando vado alle feste patronali, pure adesso che tengo ottant’anni, mi accatto il musso di porco e la prima cosa che faccio leggo sulla carta che il mussaro ci mette dentro il musso. E leggo: “Per alimenti”. E mi piace più quello che leggo che il musso che mi mangio. Che il musso dopo un po’ lo sputo ma la carta me la metto in tasca. Che non si sa mai.

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La poesia è importante e potremmo usarla pure per capire a quale giovane affidare la nostra terra e levarci di mezzo, noi vecchi, per avere qualche speranza di futuro. Il problema è che noi vecchi ci crediamo sempre che siamo meglio noi. Che sappiamo fare meglio noi.

Quando alla Cantina Iammacone entra qualche giovane e si mette a pazziare con il biliardino che Iammacone tiene appiccicato alla parete dall’elezione di Sammatino al Senato, subito arriva qualche vecchio che dice: se vuoi segnare devi fare così, devi menare di spizzo, devi tenere la mano più moscia, devi marcare con il centravanti. E chiamano ancora il difensore terzino. Che pure ai miei tempi questa cosa io non la capivo perché allora i terzini tenevano il numero 2 e il numero 3  e tu, con qualche sforzo, potevi arrivare a capire perché si chiamava terzino quello con il 3 ma, pure se ti spremevi la capoccia come spremono le vinacce quelli che vogliono fare una stizza di vino in più, non riuscivi a spiegarti perché si chiamava terzino pure quello con il numero 2. Figurati oggi se i guagliuni capiscono una cosa del genere! Insomma se quelli provano a vedere come si pazzeia a bigliardino, subito i vecchi gli fanno calare la uallera e dopo cinque minuti vedi che dentro alla Cantina rimaniamo i soliti pensionati, la solita passatella e la solita Peroni.

Io sono convinto che se uno gli dicesse: Volete pazziare? E pazziate! Tanto chi cazzo lo usa più il bigliardino? Sono convinto che se uno gli mettesse in mano il bigliardino quelli lo farebbero funzionare meglio di noi. E ci uscirebbe un divertimento pure per noi vecchi. Che una cosa è fare la passatella dentro al silenzio della Cantina, con le cascette di birra vuota appoggiate al flipper, e una cosa è farsi la passatella mentre con la coda degli occhi vedi la gioventù che ride, che si avvampa, che frizza e si spassa a due metri da te.

Ecco: noi molisani anziani dovremmo sparire come a Giovanni Di Stasi. Tanto, pure noi, come a Is, dal Molise una qualche pensione, normale e una d’accompagnamento, d’invalidità o di ex consigliere, da sindacalista o da postino invalido, ce la siamo fatta uscire. E mo dovremmo avere la dignità che ha avuto Di Stasi. Dovremmo sparire. Ci dovremmo mettere da parte.

Sicuramente dentro a tutto il Molise ci staranno una cinquantina di giovani capaci! Una cinquantina di giovani dai venti ai trent’anni capaci di leggere e scrivere. Non dico di fare i poeti ma di acchiappare qualche finanziamento dall’Europa e di farci stare un poco meglio. E basterebbe proprio quello: vedere come leggono e scrivono per capire se sono capaci. Che persino la loro grammatica te lo dice che quella è la via giusta. Persino come accocchiano le parole una dopo l’altra. Basta sentire come il rigo che scrivono si mette incoppa alla carta appresso al rigo che hanno scritto prima per capire che tengono le palle.


A questi giovani dovremmo mettere le chiavi della regione in mano, a questa cinquantina di giovani e aspettare dieci anni. Sono sicuro che se i consiglieri regionali, i tre o quattro parlamentari, i segretari dei partiti, noi che scriviamo, quelli che fanno la televisione, quelli che fanno finta di fare gli imprenditori con i soldi della regione, quelli che aspettano un altro terremoto per assumere una decina di persone che gli dice l’assessore, quelli che hanno inventato i Pip e alle Pip ci hanno fatti rimanere – se tutti noi, insomma, ci tiriamo indietro e ci mettiamo a fare la passatella mentre a questi guagliuni affidiamo il loro futuro e la nostra dignità, la speranza diventa possibile e  - dopo settant’anni di democrazia cristiana di Iorio, di democrazia cristiana di Leva, di democrazia cristiana di Frattura, di democrazia cristiana di partito democratico e, persino, di democrazia cristiana di movimento sociale e di rifondazione comunista – la democrazia arriverà pure nel Molise. Democrazia e basta.




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"Chi pensa male non sbaglia. Chi pensa bene campa" (Rossano Turzo)